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Cina: blogger in prigione perchè ha fatto controinformazione sul terremoto

Dal sito di Rainews24 copio&incollo un articolo di Roberto Reale sull’informazione del dopo terremoto in Cina, che riprende a sua volta un reportage di Jake Hooker sul New York Times:

Quasi nessuno in Italia conosce la storia di Huang Qi. Ed è un vero peccato perché la sua vicenda racconta la Cina del dopo terremoto e della vigilia olimpica infinitamente meglio di tante chiacchiere di capi di governo, dirigenti di federazioni sportive o esperti di geopolitica.

Non è che le notizie da noi non siano arrivate. Dell’arresto ( l’ultimo di una serie) di Huang Qi si è occupato ad esempio il 17 giugno scorso anche il sito di Rainews24 riferendo che si trattava di un blogger imprigionato dalla polizia perché aveva scritto degli articoli critici sul dopo terremoto nella martoriata regione del Sichuan. L’argomento è rimasto però colpevolmente confinato nel recinto del mondo del web e nei trafiletti di qualche quotidiano.

A rompere realmente il muro di silenzio (a livello planetario) ci ha pensato Jake Hooker sul New York Times con un reportage che ricostruisce puntualmente i retroscena e le motivazioni reali che hanno spinto il regime o operare questo arresto. Ne esce uno spaccato completamente diverso da quello che avevano fornito le autorità di Pechino che, con una straordinaria operazione di immagine, avevano teso alla fine di maggio a presentare il paese mobilitato e nella solidarietà verso le vittime del terremoto.

Racconta Jake Hooker che Huang (45 anni, già vittima di un lungo periodo di detenzione dal 2000 al 2005) non si limitava a scrivere articoli critici. Stava lavorando insieme ai genitori dei ragazzi uccisi nei crolli degli edifici scolastici. Chiedeva l’apertura di una inchiesta che facesse emergere come le scuole fossero state costruite con materiali scadenti da imprenditori cinici protetti da funzionari locali del partito comunista corrotti. Erano stati i padri di cinque ragazzi morti ad avvicinarlo e a chiedergli aiuto. Lui non si era tirato indietro e sul suo sito web aveva pubblicato un pezzo che domandava sostanzialmente due cose: la punizione dei responsabili e un adeguato risarcimento per le famiglie.

 Non si pensi che si tratti di un’esagerazione, di una reazione emotiva. Questi crolli rappresentano realmente un enorme mistero tutto da chiarire: molte scuole si sono letteralmente sbriciolate mentre gli edifici che si trovavano accanto ad esse sono rimasti in piedi. Migliaia di ragazzi delle elementari e delle medie sono morti così, sotto una montagna di macerie.

Nei giorni immediatamente successivi al sisma le autorità avevano consentito ai reporter e ai volontari di raggiungere le zone disastrate e di avvicinare i parenti delle vittime. Anche noi in Italia abbiamo visto le immagini delle madri e dei padri dei ragazzi che piangevano disperati con la foto dei figli in mano.

Molti commentatori avevano parlato di una svolta nel comportamento delle autorità cinesi, di un’inedita forma di trasparenza. Lo stesso Huang – riferisce Jake Hooker – in un’intervista alla radio si era detto ottimista su una nuova stagione di rispetto per i diritti umani. Ma si trattava di una illusione. Una settimana dopo la pubblicazione dell’articolo, Huang Qi è stato prelevato da un gruppo di agenti in borghese. Alla famiglia è stato comunicato che era stato fermato perchè sospettato di “essersi impossessato di segreti di stato”. Contemporaneamente ai genitori dei ragazzi morti è stato spiegato che dovevano farla finita con i loro “assembramenti” e le loro richieste: che si mettessero l’animo in pace e non disturbassero più le autorità.

Che cosa rischia adesso Huang? Il New York Times ci informa che potrebbe essere condannato a tre anni di galera. Intanto i suoi familiari e gli avvocati non hanno potuto avvicinarlo proprio in quanto “detentore di Segreti di Stato”. Ovviamente gli uffici di polizia si sono rifiutati di parlare coi giornalisti occidentali affermando di non essere autorizzati a farlo. Quello che non si è capito è se l’ordine di eseguire la cattura sia stato emesso dalle autorità locali o sia arrivato direttamente da Pechino come sosterrebbero alcuni testimoni.

Ma nella Cina di questa vigilia olimpica anche questa indeterminatezza non deve stupire. Le accuse sono sempre generiche. La Glasnost cinese nel Sichuan è durata solo pochi giorni. Ci hanno fatto vedere un dirigente di partito in ginocchio davanti ai parenti delle vittime, ci hanno mostrato il premier Wen Jiabao al lavoro per coordinare i soccorsi.

Quando i riflettori dei media si sono spenti si è tornati però subito ai vecchi metodi. Chi poneva legittimamente delle domande scomode è stato ridotto al silenzio. Quello che ora conta per il regime è che fra una ventina i giorni i grandi del mondo saranno tutti lì a Pechino all’inaugurazione delle Olimpiadi a celebrare i grandi progressi raggiunti dalla Cina. E mentre si creeranno le condizioni per realizzare “ottimi affari” la questione dei diritti umani verrà ancora una volta rimandata a data da destinarsi.

Pubblicato da Pino Bruno

Pino Bruno

Scrivo per passione e per dovere, sono direttore di Tom's Hardware Italy, ho fatto il giornalista all'Ansa e alla Rai e scrivo di digital life per Mondadori Informatica e Sperling&Kupfer

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