Intercettazioni: gli avvoltoi volano in cerchio
17 Maggio 2010 Pubblicato da Pino Bruno
Se magistrati, giornalisti e blogger non potranno più fare il loro lavoro, non è un problema che riguarda soltanto magistrati, giornalisti e blogger. Interessa soprattutto i cittadini, sempre più relegati verso un ruolo da sudditi. Il dibattito sul decreto legge che regolamenta le intercettazioni non deve riguardare soltanto gli addetti ai lavori. Il perché lo spiegano – meglio di altri – l’ex magistrato Gianrico Carofiglio, il direttore della Gazzetta del Mezzogiorno Carlo Bollino e il giurista blogger Guido Scorza. Ambiti diversi ma convergenti.
Scrive Carofiglio, componente della commissione Giustizia del Senato: “Se il ddl intercettazioni diventerà legge dello Stato ”saranno a rischio le indagini di mafia e non si potranno più fare quelle che riguardano la corruzione e i colletti bianchi”.
”Evidentemente – avverte Carofiglio – non si è ancora compresa bene la reale portata del provvedimento, soprattutto per quanto riguarda il nuovo emendamento del governo che riscrive la procedura dell’autorizzazione per le intercettazioni. L’opinione pubblica non sembra aver capito quanto tutto questo riguarderà anche le indagini di mafia. E allora vi faccio un esempio: se un collaboratore di giustizia avverte il magistrato che tra una mezz’ora, a quella determinata utenza telefonica, parlerà un boss della mafia, lui non potrà più predisporre un’intercettazione. E sapete perché? Perché prima il Pm dovrà svolgere un’indagine sul collaboratore per sapere se può essere considerato o meno attendibile. E per farlo gli serviranno dei riscontri oggettivi. Il che significa che non riuscirà comunque a controllare quella comunicazione e che gli servirà un’infinità di tempo. Quindi l’intercettazione non si farà”.
”La decisione del governo di inserire tra gli elementi che dovranno essere valutati insieme ai ‘gravi indizi di reato’ anche l’obbligo di applicare le disposizioni previste per la valutazione della prova (il riferimento è all’articolo 192 del codice di procedura penale commi 3 e 4) ostacoleranno di fatto le indagini di mafia ed impediranno quelle sui colletti bianchi e la corruzione”, sottolinea il senatore del Pd.
”Se, infatti, è giusto considerare l’attendibilità di un collaboratore di giustizia ai fini di assumere le sue dichiarazioni come prova in una procedimento – osserva Carofiglio – è assurdo doverlo fare solo per poter chiedere di intercettare una determinata utenza”.
”Il fatto è che i giornalisti non potranno più scrivere nulla delle indagini – conclude il parlamentare – non solo perché ci sarà una norma, sempre di questo ddl, che glielo impedirà, ma anche perché non ci sarà più nulla da scrivere visto che le indagini non si potranno più fare”.
Dall’ex magistrato, oggi parlamentare, al giornalista. Carlo Bollino non si limita a denunciare il bavaglio incombente. Da qualche giorno, sul suo giornale, fa scrivere questa precisazione in corsivo sotto ogni servizio di cronaca giudiziaria: “Gran parte delle notizie contenute in questo articolo non sarebbe stato possibile pubblicarle qualora fosse già entrato in vigore il cosiddetto “disegno di legge Alfano sulle intercettazioni” che nell’attuale versione proibisce la diffusione del contenuto, anche per riassunto, di qualunque atto giudiziario prima dell’inizio del processo”.
Il direttore della Gazzetta del Mezzogiorno descrive uno scenario più che inquietante: “Immaginiamo un mondo nel quale non ci siano più scandali giudiziari. Nessun ministro costretto a dimettersi per una casa ricevuta in regalo a sua insaputa, nessun governatore della banca centrale travolto dalle sue imbarazzanti confidenze telefoniche, nessun appalto truccato, nessun massaggio di troppo, nessuna tangente sessuale, nessuna escort troppo loquace, nessuna pressione indebita, nessun imprenditore pappone, nessuna sanità corrotta, nessun politico macchiato. Più nessuna accusa e più nessun sospetto. Niente. Tutto perfettamente lindo.
Nella realtà questo non può accadere ma in Italia sì, e rischia di essere una prospettiva addirittura imminente. È l’Italia virtuale che giornali e televisioni saranno costretti a rappresentare dalle prossime settimane e per l’avvenire, qualora diventasse legge il cosiddetto «ddl Alfano». Il decreto Alfano oltre a limitare fortemente la possibilità delle procure di indagare, proibirà alla stampa la pubblicazione di qualunque atto di indagine prima dell’inizio del processo.
Detto così può sembrare un compromesso opportuno tra tutela della privacy e garanzia per l’opinione pubblica di essere comunque informata. In realtà i tempi estenuanti della giustizia italiana trasformano questo apparente gesto di garantismo, in un vero e proprio atto di censura. Perché quando i retroscena di una vicenda giudiziaria potranno finalmente diventare noti, saranno trascorsi ormai così tanti anni (e saranno avvenute nel frattempo così tante elezioni) da far venire meno non soltanto l’interesse stesso alla pubblicazione, ma il sacrosanto diritto del cittadino di vigilare sull’integrità morale del proprio rappresentante eletto.
È per provare a respingere questo scenario illiberale che la Gazzetta del Mezzogiorno a cominciare da oggi inizia a simulare quel che potrebbe accadere qualora il «ddl Alfano» entrasse in vigore. Un esperimento che lanciammo già un anno fa ma che oggi siamo costretti a ritentare. Ogni giorno una breve nota in coda agli articoli che contengono notizie delle quali presto potrebbe essere vietata la pubblicazione, segnalerà i temi che nei giornali di domani non ci saranno più. Un avviso che troverete anche sui servizi del web.
Ora provate per gioco a tagliare via dalla Gazzetta quegli articoli: scoprirete un’Italia diversa, senza scandali giudiziari e senza politici corrotti. Ma anche senza inchieste antimafia in corso, senza assassini rimasti impuniti (e pensiamo, uno fra tutti, a quello della giovane Elisa Claps), senza procuratori che indagano e senza magistrati che insabbiano. Un’Italia ideale insomma, perfetta, e proprio per questo finta. Poi tornate a reincollare gli stessi articoli, sfogliate il giornale e ripiomberete nella realtà.
Ecco, se quel progetto diventerà legge così come è formulato oggi, domani non ci saranno né forbici né colla per riportarci dentro il mondo reale. Resteremo sospesi in un’Italia virtuale, circondati da tanga, veline e giochi a premi. Magari più felici e sereni, ma tragicamente inconsapevoli e irrimediabilmente meno liberi”.
E siti internet e blogger, che fine faranno? Il disegno di legge estende le responsabilità e i doveri dei giornali a blog e social forum. Se il blogger non si adegua rischia quello che rischia ogni giornalista professionista. Per esempio i siti internet (di qualunque natura, quindi anche i blog) devono prevedere la rettifica laddove “richiesta” entro le 48 ore, pena una multa che può raggiungere anche i 12.500 euro. Qualora non si volesse (o potesse) pagare la multa si può in alternativa chiudere il sito.
Ciliegina sulla torta, la cosiddetta autoregolamentazione imposta dall’alto. Si chiama “Codice di autodisciplina a tutela della dignità della persona sulla rete Internet” e ne parla autorevolmente Guido Scorza. L’idea del Governo – scrive il giurista – è quella di affiancare alla disciplina vigente una nuova regolamentazione capace di prevenire la commissione di illeciti a mezzo Internet e/o rimuoverne gli effetti. Ma – aggiunge Scorza – non si può non rilevare che è una curiosa forma di “autoregolamentazione” quella che sta andando in scena nel nostro Paese: due Ministri della Repubblica predispongono una “bozza definitiva” di codice e la “propongono” agli operatori, auspicandone una rapida – un mese al massimo – adozione”.
Insomma, sulle libertà di espressione e informazione, fuori e dentro la rete, volano in cerchio gli avvoltoi, come nei fumetti.