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Google Maps Nicaragua e Costa Rica: come non è andata a finire

Un mese fa Google Maps l’ha fatta grossa. Ha provocato addirittura un incidente diplomatico  tra Costa Rica e Nicaragua, a causa di una linea di confine messa nel posto sbagliato. La vicenda, come spesso accade, è stata seguita dai giornali per qualche giorno. Poi non se n’è saputo più nulla. In questo articolo il giornalista e scrittore Bepi Costantino, profondo conoscitore dell’America Centrale, autore del libro “Costa Rica, il Paese più felice del mondo” (Ed. Sedit, pp. 208) racconta gli esiti della contesa internazionale, tutt’altro che conclusa.

(cliccare per ingrandire)

(di Bepi Costantino) L’incidente di frontiera tra Costa Rica e Nicaragua, attribuito in un primo momento a un errore commesso da Google Maps (e prontamente ammesso dal colosso dei motori di ricerca), si sta rivelando molto più grande e complesso di quello che sembrava all’origine.

Un paio di mesi fa truppe nicaraguensi hanno occupato la Isla Calero, una piccola isola nel delta del fiume San Juan che in quella zona delimita il confine tra i due Paesi. L’isola appartiene alla Costa Rica, che ha prontamente denunciato l’invasione, ma a quel punto il governo di Managua ha fatto riferimento a Google Maps, secondo cui quei pochi ettari di terra rientravano nei confini del Paese più a nord.

Nel giro di qualche giorno l’equivoco è stato chiarito, l’azienda di Mountain View ha fatto pubblica ammenda e ha corretto le carte geografiche disponibili in rete, ma le truppe nicaraguensi non hanno abbandonato l’isola e per di più hanno iniziato imponenti opere di deforestazione e sbancamento con grandi macchine per movimento terra che continuano tuttora. Tutto questo mentre la Costa Rica, che non ha esercito, continua ad appellarsi a organismi internazionali, dalla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja all’Organizzazione degli Stati Americani, alla quale aderiscono tutti i 35 Paesi del continente, mentre personalità di spicco, come il presidente dell’Ecuador, si stanno offrendo come mediatori.

Ma perché il governo di Managua sta facendo tutto questo? Ufficialmente per dragare quella parte del fiume e aprire un varco al fine di facilitare la navigazione dal mar dei Caraibi verso l’interno del Paese, il che peraltro sarebbe anche legittimo se soltanto il territorio interessato appartenesse al Nicaragua. In realtà si fa sempre più insistente un’ipotesi che, se trovasse conferme, andrebbe a toccare immensi interessi di livello mondiale.

Facendo un salto indietro nella Storia, alla fine dell’Ottocento, scopriamo che il primo progetto di un canale per collegare gli oceani Atlantico e Pacifico prevedeva l’utilizzo proprio del rio San Juan tra il mar dei Caraibi e il grande lago Nicaragua e la costruzione di un “piccolo” canale tra questo bacino e il Pacifico. All’inizio del secolo scorso gli Stati Uniti tentarono di conquistare il Nicaragua proprio per realizzare questo progetto, ma i centroamericani respinsero l’invasione. Contemporaneamente i francesi che avevano iniziato la costruzione del canale di Panama abbandonarono l’impresa per problemi economici e fu così che subentrarono gli statunitensi a completare l’opera nell’istmo.

Attualmente il governo del Nicaragua è capeggiato da Daniel Ortega, leader del Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale che pose fine alla dittatura di Somoza nel 1979, già presidente della Repubblica dal 1985 al 1990, legato a Fidel Castro e a Hugo Chávez, presidente del Venezuela, dal quale il Paese centroamericano riceve cospicui aiuti economici.

Proviamo allora a immaginare cosa significherebbe la creazione di una via alternativa al canale di Panama, in posizione geograficamente avvantaggiata per i trasporti est-ovest dell’emisfero settentrionale, gestita al di fuori di qualsiasi possibile influenza statunitense: anche limitando ogni considerazione ai solo aspetti puramente commerciali, basti pensare che attualmente transitano (pagando un caro pedaggio) dal canale di Panama oltre 160 milioni di tonnellate di merci l’anno, destinate a raddoppiare con l’ampliamento che dovrebbe essere terminato entro il 2014 con un costo di oltre 5 miliardi dollari.

Forse dietro la sparuta presenza di militari nicaraguensi sulla microscopica Isla Calero c’è qualcosa di più che un banale errore cartografico.

Bepi Costantino



Pino Bruno

Scrivo per passione e per dovere, sono direttore di Tom's Hardware Italy, ho fatto il giornalista all'Ansa e alla Rai e scrivo di digital life per Mondadori Informatica e Sperling&Kupfer

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