Sudan: i satelliti di George Clooney contro il genocidio
29 Dicembre 2010 Pubblicato da Pino Bruno
- 29 Dicembre 2010
- ATTUALITA', BUONI ESEMPI, SCENARI DIGITALI
- crimini di guerra, diritti calpestati, satelliti, SCIENZE, Sudan
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Per fortuna l’impegno sociale di George Clooney non è inficiato dalla relazione sentimentale con la protagonista degli ultimi cinepanettoni e dagli spot per la poco etica multinazionale Nestlè. Ieri su Time il figlio del grande giornalista Nick Clooney ha lanciato un progetto per vigilare, attraverso i satelliti, sulle violazioni dei diritti umani in Sudan.
Il Satellite Sentinel Project è un’iniziativa congiunta di George Clooney, Nazioni Unite, Università di Harvard, Google e Trellon. Da oggi i satelliti commerciali fotograferanno ogni evidenza di violenze, villaggi bruciati e gruppi di persone in fuga. I dati saranno raccolti e analizzati dalle Nazioni Unite e dell’Università di Harvard. Google e un’altra azienda informatica, Trellon, daranno vita a un sito per rendere pubbliche le informazioni.
Il progetto nasce da un’idea di Clooney finanziata da Not On Our Watch (Non sotto i nostri occhi), associazione no profit impegnata nel Darfur fondata da George e dai colleghi Brad Pitt, Matt Damon e Don Cheadle.
Clooney ha detto a Time di aver proposto l’idea tre mesi fa, quando era in Sudan per incontrare i profughi della guerra civile. L’attore ha definito il progetto “paparazzi anti-genocidio“. “Vogliamo che i potenziali responsabili di genocidio e altri crimini di guerra sappiano che li stiamo guardando, che il mondo li sta guardando”, ha detto Clooney.
Il 9 gennaio si terrà nel Sudan del Sud un referendum sull’indipendenza della regione, previsto dagli accordi del 2005 che avevano posto fine alla guerra civile tra il sud e il nord. I pronostici dicono che la gente del sud (ricco di petrolio) voterà in massa per l’indipendenza.
All’avvicinarsi del voto nel paese si sono moltiplicate le violenze, tanto che il vicepresidente americano Joe Biden alla vigilia di Natale ha telefonato all’omologo sudanese Ali Osman Mohamed Taha, per esprimere la sua preoccupazione.
(Fonti: Time, Ansa)