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Wikileaks e I Tre Giorni del Condor

Quando nel 1975 uscì il film di Sidney Pollack “I tre giorni del Condor” molti dei miei lettori non erano nati. Suggerisco loro (e suggerisco a molti dei miei colleghi che da giorni sparano cavolate a raffica sul ruolo di Wikileaks) di vederlo o rivederlo. Potrebbero guardare alla vicenda Wikileaks-Assange con altri occhi…

Robert Redford "I tre giorni del Condor"

Intanto, per rispolverare la trama del film, c’è questa bella scheda proposta da Sky Cinema Cult:

“…è tratto dal romanzo di James Grady I sei giorni del condor e racconta la storia di Joe Turner (Robert Redford), che lavora presso l’American Literary Historical Society, che d’un tratto viene precipitato in un incubo. Joe è un impiegato della CIA con il compito di leggere il maggior numero di libri, periodici e quotidiani per scovare eventuali minacce contro il governo. La sua vita scorre tranquilla insieme ai colleghi dell’ufficio fino a quando, mentre Joe è fuori per comprare il pranzo ai colleghi, qualcuno fa irruzione in ufficio e compie un massacro.

Sotto shock, Joe prende una pistola dal cassetto ed inizia a fuggire nel disperato tentativo di salvarsi la vita… Ogni persona che incontra gli sembra sospetta. Joe non ha mai avuto tanta paura in vita sua. Da una cabina pubblica chiama il numero di emergenza della CIA, e dà il suo nome in codice: Condor. Robert Redford, Faye Dunaway ed un indimenticabile danno vita ad una spy-story ricca di colpi di scena, di tensione e di sequenze avvincenti in un film con regia e fotografia studiate per immergerci in una New York che nasconde un potenziale pericolo ad ogni angolo di strada.

Gli elementi classici del film di spionaggio ci sono tutti, dalla “sindrome di Stoccolma” che coinvolge Kathy e Joe fino ai cliché dell’abbigliamento e dei travestimenti: il killer con trench, cappello e guanti neri di pelle, il fuggitivo in jeans e giacca con il collo rialzato, l’assassino travestito da postino… Dai film di Hitchcock alle avventure di 007, la tradizione della spy-story viene seguita alla lettera. E mescolata con qualcosa di nuovo. Fino a I tre giorni del condor, al cinema le spie si muovevano su uno scenario in cui alleanze e complotti erano solo accennati, e se erano espliciti facevano capo al crimine organizzato. Pollack e Redford cambiano le cose raccontando il coinvolgimento di un’agenzia governativa in rapporti con killer a pagamento e con nazioni straniere poco raccomandabili.

La teoria della cospirazione, fomentata dagli assassinii politici degli anni ’60 e dagli scandali pubblici degli anni ’70, è ormai una realtà: le proteste contro la guerra in Vietnam e il sensazionalismo giornalistico hanno incrinato l’incrollabile fede del popolo americano nel sistema e nel sogno americano. Niente è più sicuro, nessuno è davvero affidabile.

“C’è del marcio nella CIA, lo dicevo io!”: Joe scopre solo la punta di un iceberg che affonda le proprie radici nella corruzione e nell’opportunismo, nei giochi di alleanza che fanno capo ad un solo, grande padrone: il denaro.

Joe è un anticonformista, “uno che legge libri” ma che al momento opportuno si muove nel mondo delle spie come se lo avesse sempre fatto. Tanto che gli viene proposto un lavoro in cui non si deve mai chiedere perché, ma solo quando e quanto. Domande che appaiono fondamentali per qualcuno e prive di senso per altri.

Un po’ come l’espressione che chiude il film, con un fermo immagine che – altra novità – lascia il finale aperto alla nostra interpretazione. E alla possibilità che, per una volta, la giustizia non arrivi a trionfare. Resta la speranza, certo. Ma sono gli uomini a determinare il corso degli eventi. E l’America, dopo I tre giorni del condor, non è più la stessa”.


Ma che mentalità è questa vostra? – dice Joe Tuner/Robert Redford al boss della CIA, nella scena finale del film, davanti al palazzo che ospita la redazione del New York Times  – se non si scoprono le vostre magagne, per voi è come se agiste rettamente! …Voi fate esperimenti, io racconto fatti veri”.

Il boss risponde: “…Hai fatto più danno di quanto ti immagini”.

Replica Joe Tuner/Robert Redford: “è quello che spero”.

La scena finale è questa qui. Rispolverate la memoria e cercate le affinità, come nel vecchio gioco della Settimana Enigmistica…

Pino Bruno

Scrivo per passione e per dovere, sono direttore di Tom's Hardware Italy, ho fatto il giornalista all'Ansa e alla Rai e scrivo di digital life per Mondadori Informatica e Sperling&Kupfer

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