Tunisia: i blogger contro la repressione
13 Gennaio 2011 Pubblicato da Pino Bruno
- 13 Gennaio 2011
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Sulla rivolta tunisina ho letto finalmente (e condivido con piacere) un articolo ben fatto sul ruolo dei blogger nella rivolta tunisina. Dopo la miriade di cavolate scritte in questi giorni da giornalisti che di web, blog e proxy non capiscono un cavolo, l’articolo di Paola Caridi (giornalista, storica, esperta del mondo arabo e blogger), pubblicato dalla Stampa, svetta dolomitico 🙂 Eccolo qui:
«Internet è bloccato, le pagine censurate sono assimilate a pagine non trovate, per far credere che quelle pagine non sono mai esistite. Gli studenti si scambiano i proxy, la parola è sulla bocca di tutti: “tu ce l’hai un proxy che funziona?’». Sam (uno pseudonimo) spiega così, sulla Rete, quello che è successo ai giovani tunisini.
La fame di notizie, libertà, democrazia vissuta all’ombra delle nuove tecnologie, che i ragazzi di Sfax, Sidi Bouzid, Biserta, Tunisi maneggiano come fosse un pallone da calcio. I proxy servono a rimanere anonimi, a mascherare l’indirizzo del proprio computer.
Uno di loro ieri parlava del rischio di un golpe militare in seguito al rifiuto dell’esercito di eseguire gli ordini del presidente Ben Ali di disperdere i manifestanti. Poi i rumor si sono dispersi, ma tutti vogliono sapere, e soprattutto vogliono vivere, i ragazzi.
Leggono, di nascosto, l’inchiesta di Nicolas Beau e Catherine Graciet pubblicata nel 2009 in Francia sulla moglie di Ben Alì, Leila Trabelsi, La regente de Carthage , accusata di aver creato un sistema di corruzione e di controllare settori chiave dell’economia tunisina. Gli studenti si scambiano il libro negli zaini come fosse un samizdat.
Cercano di arrivare all’informazione libera fuori dai confini virtuali della piccola Tunisia, divenuti quasi invalicabili. Trovano su Wikileaks documenti che parlano del regime. E, soprattutto, bloggano, chattano su Facebook e twitter, sul telefonino. Sam, per esempio, affida il racconto di una generazione su nawaat.org, un blog collettivo, il più famoso.
E i blogger vanno anche in galera, per questo. Com’è successo a Slim Amamou e Azyz Amamy, arrestati all’inizio di gennaio, due tra i blogger più conosciuti in Tunisia. Mettono sul Web i loro diari, politici, intimi, sociali. Molti di loro, come Azyz e Slim, fanno anche di mestiere gli informatici. E non è un caso. È stato proprio il presidente Ben Alì ad aprir loro le porte di Internet e dell’information technology, esattamente quindici anni fa.
Il blogger Azyz, animatore anche di un magazine sul Web (A7ki.net), aveva allora solo 13 anni, quando Ben Alì decise che il futuro della Tunisia, altrimenti povera, poteva essere costruito sui computer. Avrebbe fatto dei suoi cyberfigli dei tecnici dell’It, capaci di trovare lavoro anche nel paese. Telelavoro, insomma. Delocalizzazione informatica, per combattere la disoccupazione.
Un’idea affascinante, salvo che con i computer e il Web i ragazzi hanno assaporato anche la libertà. È stata, in un certo senso, la rivoluzione informatica di Ben Alì ad aver partorito la rivoluzione del gelsomino, come i ragazzi hanno battezzato la rivolta di questi giorni.
Perché il sapore della libertà ha portato con sé il disagio, il dissenso, la volontà di rompere le maglie di un regime sempre più autoritario che, a un certo punto, ha scoperto di aver allevato figli ribelli. La repressione del Web non nasce da oggi. Quello che è considerato il primo e-martire, il primo blogger morto era tunisino e si chiamava Zouhair Yahyaoui, il fondatore della nota rivista on line Tunezine.
Yahyaoui è morto a trentasei anni per un infarto, nel marzo del 2005, dopo esser stato rilasciato dalla prigione. Da allora, il Web al di là del Mediterraneo, accanto alle villette di lusso di Hammamet, è stato controllato e censurato dalla polizia informatica di Ben Ali, che ha stretto il più possibile le maglie degli Internet café e della pubblicazione online. Alcuni, dei blogger più importanti, se ne sono andati in Europa. Altri sono rimasti, i loro fratelli minori sono cresciuti. E ora sono per le strade della Tunisia. Con pietre vere, non più virtuali.
(di Paola Caridi)