Giornalismi: Luca De Biase su chi cita le fonti e chi no
2 Febbraio 2011 Pubblicato da Pino Bruno
- 2 Febbraio 2011
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Non solo per gli addetti ai lavori – giornalisti e blogger – il lucido post di Luca De Biase, che propone una chiave di lettura, aggiornata al boom dei social media, di una vecchia regola del giornalismo anglosassone da sempre disattesa in Italia: la citazione delle fonti di un articolo o di un post. Condivido parola dopo parola. Ve lo ripropongo pari pari:
(Luca De Biase) “Basta dare un’occhiata alle statistiche sulla propensione a citare gli altri, nei blog e nei giornali, per comprendere che si tratta di un elemento decisivo dell’identità di un’iniziativa mediatica.
Non è una questione di strumenti mediatici. E’ una questione di identità.
Non è vero che i blog citano gli altri e i giornali non li citano. Nelle classifiche dedicate ai blog, tra i primi si trovano molti blog che non citano gli altri o che li citano in minima misura. Mentre una delle buone pratiche dei giornali c’è quella di citare la fonte: sia essa un’altra testata giornalistica (gli anglosassoni citano sistematicamente le agenzie e hanno poco timore a citare gli altri giornali). Non è lo strumento che porta a citare gli altri. E’ l’identità dell’iniziativa mediatica che porta a citarli o non citarli.
La pratica della citazione è sana e identitaria. Deriva, probabilmente, dalla cultura scientifica che ha lasciato un imprinting importante sullo sviluppo del web. La pratica di non citare deriva probabilmente dalla cultura del marketing editoriale che si occupa di conquistare e mantenere avvinghiato un pubblico ai prodotti di una certa iniziativa editoriale.
Queste due pratiche alternative hanno conseguenze molto importanti sull’identità delle iniziative mediatiche cui danno vita.
La ricerca scientifica cita perché considera che la conoscenza si riferisca a una realtà esterna all’entità mediatica che esprime qualcosa: lo scienziato non parla per conquistare il pubblico ma per dire qualcosa su un fenomeno fondamentalmente indipendente da lui. L’epistemologia è andata molto a fondo nell’analisi dell’interazione tra oggetto e soggetto dello studio, ma il tema è questo: l’espressione dello scienziato non è orientata a catturare il pubblico ma a informarlo. E la credibilità di quanto dice consiste nella ripetibilità delle sue osservazioni: altri possono accedere allo stesso metodo e alle stesse osservazioni e trarre le loro conclusioni. La collaborazione tra gli scienziati non è frutto di buona volontà ma è intrinseca al processo costruttivo della conoscenza.
L’editoria concentrata sul marketing e il modello di business è invece tentata di porre al centro il controllo del pubblico e rifugge da ogni azione che possa lasciare al pubblico una porta aperta per lasciare i suoi prodotti informativi e andare altrove. La citazione in questo contesto è vista forse come una di quelle porte aperte. La perdita di credibilità che deriva dalla scarsa attività di citazione è compensata dalle citazioni che comunque qualcuno rivolge ai prodotti editoriali più noti e dalla progressiva costruzione di un mondo di senso autonomo che può apparire auto dimostrativo. Il rischio, come si vede nei fatti, è l’autoreferenzialità.
La pratica di citare deriva dal rispetto per l’argomento sul quale si fa ricerca, di fronte al quale ciascuno è troppo piccolo per far da solo ed è portato naturalmente a collaborare con gli altri che fanno ricerca sulla stessa materia. La pratica di non citare deriva dalla concentrazione sul modello di business, più o meno correttamente interpretato, dei prodotti editoriali chiusi.
La pratica di citare tende logicamente verso il realismo, l’empirismo, la ricerca di un senso attraverso il metodo di ricerca (osservazioni, ipotesi, osservazioni, teorie, osservazioni). La pratica di non citare tende logicamente verso la fiction (costruzione di mondi di senso autoreferenziali).
In ciascuna delle due soluzioni c’è qualcosa di utile. L’ecosistema dell’informazione ha bisogno di diversità. C’è spazio per tutti. Ma c’è anche bisogno di tutti. Se la difesa dei mondi di senso avviene attraverso la strategia della disattenzione che delegittima o distrugge la ricerca di informazioni, la sua conseguenza è un impoverimento e un inquinamento dell’ecosistema.
Se i media sociali hanno un senso, è quello di mantenere vita nell’ecosistema dell’informazione la pratica di citare. E se citano restano forti, perché sono un medium di milioni di persone. Se non citano diventano semplici prodotti editoriali piccoli e deboli.