Valigetta internet per dissidenti
13 Giugno 2011 Pubblicato da Pino Bruno
- 13 Giugno 2011
- APPROFONDIMENTI, ATTUALITA', RETI, SCENARI DIGITALI
- censura, cyber-attivisti, Egitto, internet, Iran, Libia, rivolta popolare, Siria, Tunisia, Usa
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Quando un regime è con l’acqua alla gola, spegne internet, per impedire ai dissidenti di organizzare la protesta. E’ successo in Tunisia, Egitto, Libia e – più di recente – in Siria. Succederà ancora, ovunque ci sarà una rivolta popolare. Durante le rivoluzioni nordafricane, cyberattivisti di tutto il mondo (ma anche Google e Twitter) hanno cercato di dare una mano alla protesta. Hanno creato accessi alternativi alle reti di telecomunicazioni, aperto canali per bypassare i fornitori di accesso locali. Nonostante il blocco della rete e tra mille difficoltà, le informazioni hanno varcato i confini.
Il New York Times fa sapere che l’esperienza egiziana ha indotto l’amministrazione Obama a scendere in campo per finanziare le organizzazioni che aiutano i dissidenti a lottare contro i regimi autoritari. Non tutti i regimi, per carità. Solo quelli non più congeniali agli interessi degli Stati Uniti d’America. Il quotidiano cita l’Iran, la Siria, la Corea del Nord, le zone dell’Afghanistan ancora controllate dai talebani e, ovviamente, la Libia.
La “valigetta internet per dissidenti” di cui parla il New York Times in realtà è un Mesh Networking, cioè una rete wireless che permette agli utenti di connettersi tra di loro aggirando gestori telefonici e provider locali. E’ un network duttile ed espandibile, basato su protocolli open source e su infrastruttura peer-to-peer. Il progetto è della New America Foundation.
Dettagli tecnici sul Mesh Networking sono in questo documento pdf e a questo indirizzo. Un prototipo di rete Mesh è in funzione in un quartiere di Detroit.
Un’operazione che ricorda altri tempi, la Guerra Fredda e Voice of America, la potentissima stazione radiofonica di propaganda anticomunista che trasmetteva in tutte le lingue parlate nell’Unione Sovietica e nei paesi del Patto di Varsavia.
Non è un’idea nuova. Già un paio di anni fa, quando si sperava che l’Onda Verde iraniana stesse per travolgere il regime degli ayatollah, il controverso storico neoconservatore statunitense Michael Ledeen propose di fare cosa analoga:
“…provide modern communications devices to dissidents. In the Cold War we sent fax machines to Soviet dissidents; today’s freedom fighters need modern telephones and servers” (fornire ai dissidenti moderni strumenti di comunicazione. Nel corso della Guerra fredda inviammo macchine fax ai dissidenti sovietici; coloro che oggi combattono per la libertà hanno bisogno di moderni telefoni e server).
L’articolo del New York Times, comunque, non rivela nulla di particolarmente nuovo. Sottolinea semmai la “lungimiranza” del Segretario di Stato, Hillary Clinton, che aveva annunciato la sua “Strategia per internet” addirittura il 21 gennaio 2010, quando nessuno prevedeva cosa sarebbe accaduto in Nord Africa e Medio Oriente:
“…Stiamo inoltre sostenendo lo sviluppo di nuovi strumenti che consentano ai cittadini di esercitare il loro diritto di libertà di espressione e eludere la censura per motivi politici. Stiamo finanziando le associazioni di tutto il mondo per fare in modo che questi strumenti arrivino alle persone che ne hanno bisogno… Vogliamo mettere questi strumenti nelle mani di persone che li useranno per far avanzare la democrazia e i diritti umani“.
Più chiaro di così. D’altronde chi censura internet vìola i diritti umani. Lo ha detto pure l’ONU.
Fonti: New York Times, Dipartimento di Stato Usa, New America Foundation, PajamasMedia.