Rifiuti: e il riciclare m’è dolce in questo mare
1 Febbraio 2012 Pubblicato da Pino Bruno
- 1 Febbraio 2012
- AMBIENTE, APPROFONDIMENTI, ATTUALITA', BUONI ESEMPI, SCENARI DIGITALI, SCIENZE
- Danimarca, ecologia, energia, rifiuti
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Osservazioni da viaggiatore. Da noi lattine e bottiglie di plastica e vetro fanno parte dell’arredo urbano. Usa e getta, nel senso che le getti per terra e chissenefrega. Poi passano gli spazzini e vetro, plastica e alluminio vanno a finire in discarica. In molte città c’è la raccolta differenziata, ma la fanno solo quelli che, darwinianamente, si sono evoluti. Percentuali molto basse, sappiamo. Se si fa un giro in Germania, Olanda, Danimarca, Svezia, eccetera, lattine e bottiglie non ne trovi manco a pagarle. Infatti lì ti pagano, e bene, per riciclarle. Prendiamo il caso della Danimarca. In ogni supermercato c’è una macchinetta per il sistema Pant.
Sembra un distributore di bibite, invece ingoia bottiglie e lattine che è un piacere. C’è un vano in cui infilarle, una per una. Il lettore digitale analizza la tipologia (Pant A, Pant B, Pant C) e incamera. Alla fine, si preme il pulsante verde e vien fuori lo scontrino, da mostrare alla cassa quando si fa la spesa. Più ricicli, più risparmi.
Per ogni Pant A (lattine e bottigliette da 0.33 litri) ti danno 1 corona; il Pant B (bottiglie da mezzo litro) vale 1,50 corone, il Pant C (lattine da mezzo litro e bottiglie da 1 e 2 litri) vale 3 corone. Ogni corona danese equivale a 0,14 centesimi di euro. Se dunque si riciclano quattro bottiglie grandi di acqua minerale, sei lattine piccole e quattro bottigliette, fanno circa due euro e 85 centesimi. I danesi ne accumulano in casa un bel quantitativo e poi, quando vanno a fare la spesa settimanale, si mettono in coda davanti alla macchinetta e il loro portafogli gioisce.
Che fine fanno i materiali del Pant? Tutto quello che si può riciclare si ricicla. Il resto – insieme con i rifiuti umidi – finisce nei termovalorizzatori. In Danimarca si pensa anche a ridurre l’impatto ambientale del trasporto verso i centri di raccolta. Nei luoghi di maggior pregio turistico e nei centri storici i camion sono banditi. Si preferisce usare un sistema pneumatico sotterraneo a chiusura ermetica, per evitare odori sgradevoli e proliferazione di insetti. Come quello in uso nel canale di Nyhavn, molto frequentato da cittadini e turisti, messo a punto dalla multinazionale svedese Envac.
A proposito di termovalorizzatori, a Copenhagen fanno parte dello skyline, insieme con le centrali eoliche davanti al lungomare. La cosa farà inorridire gli ambientalisti della domenica, quelli con la sindrome da NIMBY, ma qui si bada soprattutto al balance, cioè al giusto bilanciamento delle esigenze energetiche con quelle ambientali. Quanto alle discariche, sono più rare delle mosche bianche. Soltanto il 4 per cento dei rifiuti finisce lì. A differenza dell’Italia, in Danimarca non c’è il Partito Trasversale della Discarica, che fa lobbying in Parlamento o nelle amministrazioni locali.
I termovalorizzatori, inoltre, devono rispettare la rigida normativa danese sulle emissioni e sono costantemente sotto il controllo dell’Agenzia governativa per l’ambiente . La Danimarca ne ha già ventinove in servizio e altri dieci in costruzione o già programmati. Servono novantotto comuni in un Paese di 5,5 milioni di abitanti (più o meno quanti ne ha la Puglia). Gli impianti sono ai margini delle città, anche molto vicini a quartieri e sobborghi VIP. Come a Hørsholm, a nord della capitale, dove vivono intellettuali e professionisti senza sindrome da NIMBY.
L’impianto di Hørsholm è in funzione ventiquattro ore su ventiquattro. Brucia migliaia di tonnellate di rifiuti domestici e industriali. Con le sue decine di filtri che impediscono emissioni inquinanti in atmosfera è un esempio mondiale di efficienza ambientale e tecnologica, come ha scritto qualche tempo fa il New York Times.
I rifiuti bruciano e producono energia, parte della quale va nelle case e negli uffici dei danesi, grazie al capillare sistema di teleriscaldamento. Un rapporto del 2006 – l’ultimo disponibile – attesta che l’esperienza danese è una best practice globale.