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Il puttanaio giornalistico

E’ solo una sensazione, a pelle, ma quando ho visto quelle torme di giornalisti scomposti che assaltavano passanti scambiandoli per neo deputati grillini oppure circondavano cardinali in marcia verso il Conclave, mi è venuto in mente il puttanaio di cui parla J. R. Moehringer in “Pieno Giorno”, edito in Italia da PIEMME. E sì che Moehringer se ne intende: fa il cronista al Los Angeles Times.

Ecco il passaggio che ha fatto scattare il link:

“I giornalisti si scambiano storie tremende sui loro direttori e capiredattori, quei coglioni disgraziati che li hanno mandati lì per quel cavolo di lavoro.

C’è un termine giornalistico nuovo di zecca, preso a prestito quell’anno dalla guerra in Vietnam, spesso usato per incarichi come questo, in cui aspetti in mezzo al branco, di solito all’aperto, esposto alla furia degli elementi, sapendo benissimo che non ne caverai fuori nulla di buono, di sicuro nulla che non ci caverà fuori anche il resto del branco.

Il termine è puttanaio.

A tutti i giornalisti di tanto in tanto capita di ritrovarsi in un puttanaio, fa parte del mestiere, ma un puttanaio la vigilia di Natale, per di più fuori dai cancelli del penitenziario di Attica?

Dai! non è mica bello, dice l’inviato del Village Voice. Non è bello per niente”.

Già. Non me ne vogliano i colleghi.

Pino Bruno

Scrivo per passione e per dovere, sono direttore di Tom's Hardware Italy, ho fatto il giornalista all'Ansa e alla Rai e scrivo di digital life per Mondadori Informatica e Sperling&Kupfer

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