Una app da 30 milioni di dollari
26 Marzo 2013 Pubblicato da Pino Bruno
- 26 Marzo 2013
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Datemi l’app giusta e vi solleverò il mondo. Notizia per chi non è ancora convinto che il volano dell’economia digitale sono le applicazioni per i dispositivi mobili. Ebbene, l’app Summly creata dal diciassettenne britannico-australiano (ma il cognome tradisce l’origine italiana) Nick D’Aloisio è stata acquistata da Yahoo! per 30 milioni di dollari. Nello stesso giorno il titolo in Borsa della maison digitale è schizzato a 23,38 dollari, con un aumento dello 0,52 per cento.
In base all’accordo di vendita, l’applicazione è stata ritirata dall’Apple Store (dopo duecentomila download), in attesa delle decisioni di Yahoo!, che con Summly punta al rilancio del suo portale. Cosa fa (anzi faceva, perché non sappiamo se sarà modificata e adattata alle esigenze di Yahoo!) questa app ritenuta tanto appetibile?
Il suo algoritmo è capace di condensare pagine web, articoli di giornale e recensioni in un riassunto plausibile. Sintesi artificiale ma intellegibile, utile per chi seleziona notizie interessanti da approfondire in seguito e non si fida soltanto dei titoli.
Figlio di un’avvocata e di un banchiere, il giovane D’Aloisio – diventato miliardario a 17 anni – ha cominciato a smanettare sul computer quando andava alla scuola elementare. A 12 anni già scriveva applicazioni e ha continuato a farlo da studente del prestigioso Kings College School di Wimbledon.
Summly è una evoluzione di TRIMIT, app per iOS segnalata da Apple per originalità e potenzialità come uno dei migliori prodotti su App Store del 2012. TRIMIT proponeva abstract di 140 caratteri, Summly arrivava a 300 caratteri.
In questo filmato è possibile apprezzarne il funzionamento:
Il vice presidente per il mobile e i prodotti emergenti di Yahoo!, Adam Cahan, ha detto al Financial Times che ”Nick rappresenta un cambio generazionale per come pensa e per come ritiene il mobile. Questa generazione non privilegia il mobile e solo mobile, e questo significa aver un punto di vista differente”.
Vive la différence, è proprio il caso di dire.