Boston, se la rete telefonica va in crash
17 Aprile 2013 Pubblicato da Pino Bruno
- 17 Aprile 2013
- ATTUALITA', RETI, SCENARI DIGITALI
- attentato a Boston, protezione civile, telecomunicazioni, telefonia cellulare, wi-fi
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Sovraccarico. Troppe chiamate. A Boston la rete di telefonia mobile è andata in crash in tutta l’area dell’attentato. Era già successo a New York, dopo l’attacco alle torri gemelle dell’11 settembre 2011 e dopo l’uragano Sandy, il 29 ottobre 2012. I ripetitori per i cellulari sono predisposti per supportare un traffico “normale” di chiamate e, se ce ne sono molte di più, vanno in tilt. A Boston ne hanno fatto le spese soprattutto i cittadini che cercavano informazioni sui familiari coinvolti, mentre soccorritori e forze di polizia hanno gestito la crisi grazie ai ponti radio delle singole organizzazioni di emergenza. L’assenza di campo telefonico ha comunque creato problemi anche a loro. Disservizio inevitabile? Hari Balakrishnan, docente di informatica del Massachusetts Institute of Technology, dice di no.
Lo scienziato, che dirige il MIT Center for Wireless Networks and Mobile Computing, è convinto che le reti di telefonia mobile possano e debbano essere in grado di funzionare anche durante disastri come quello di Boston, quando cittadini e autorità hanno più bisogno di usare i telefoni cellulari.
Il prof Balakrishnan aggiunge che si devono aumentare gli investimenti per riprogettare le reti, renderle flessibili e adattabili alle emergenze.
E’ vero che le reti sono in costante evoluzione tecnologica, ma non sono costruite per reggere l’impatto di chiamate durante una crisi come quella conseguente all’attentato di lunedì. E’ un problema di architettura, e il direttore del CWNMC suggerisce la soluzione, peraltro già ampiamente sperimentata nei laboratori del MIT.
I ripetitori di telefonia mobile – dice il prof Balakrishnan – devono essere in grado di implementare tecnologia aggiuntiva che consenta, in caso di emergenza, di instradare le chiamate in eccesso sulle vicine reti Wi-Fi. I modelli matematici – sottolinea il ricercatore – hanno dimostrato che si può fare.
Già, ma chi pagherebbe la spesa dell’implementazione? I gestori? La protezione civile? Si tratta di valutare costi e benefici. Intanto la soluzione tecnica sembra a portata di mano.
Fonte: Boston Globe