Chi non digitalizza l’economia muore
12 Aprile 2013 Pubblicato da Pino Bruno
- 12 Aprile 2013
- AU HASARD
- digital divide, economia, innovazione tecnologica
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Fa notizia l’uomo che morde il cane e non viceversa, e dunque perché stupirci se nel rapporto Global Information Technology Report 2013 del World Economic Forum l’Italia è collocata al cinquantesimo posto su 144 paesi monitorati? La solita classifica usata per piangerci addosso, dirà qualcuno. E no, stavolta il rating fa particolarmente male, perché i cinquantaquattro indicatori presi in esame dai ricercatori del WEF misurano il grado di preparazione di un’economia nell’utilizzare la tecnologia per favorire la competitività e il benessere. Costatare di essere dietro a Cipro (35° posto), alla Slovenia (37°), al Kazakhstan (43°), alla Giordania (47°), al Montenegro (48°) e alla Polonia (49°) è deprimente, ma tant’è.
Ormai lo sanno anche i bambini che l’economia digitale è un volano per il PIL e i posti di lavoro. Dice il rapporto che negli ultimi due anni la rivoluzione digitale ha creato nel mondo e fatto crescere il PIL di 193 miliardi di dollari.
E – proseguono impietosi i ricercatori del World Economic Forum – il trend globale dimostra che un aumento del 10 per cento dell’indice di digitalizzazione di un paese porta a una crescita dello 0,75 per cento del PIL pro capite, con la diminuzione dell’1,02 per cento del tasso di disoccupazione.
Son numeri, statistiche, certo. Ognuno di noi può però proiettarle in uno schermo neanche tanto virtuale, fatto di fabbriche che chiudono anche a causa del divario digitale, della banda larga che non arriva, dell’incapacità dei governi di fare sistema.
E così, mentre l’Agenda Digitale italiana fa passetti incerti, l’economia va ramengo, ovvero
Dum ea Romani parant consultantque, iam Saguntum summa vi oppugnabatur[1].
[1] Mentre a Roma si discute, Sagunto viene espugnata (Tito Livio, Storie, XXI, 7, 1).