Il falso tweet e l’indice della paura
24 Aprile 2013 Pubblicato da Pino Bruno
- 24 Aprile 2013
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- barack obama, Borsa, fonti giornalistiche, sicurezza informatica, twitter
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Ieri a Wall Street è scattato l’Indice della paura, a causa del falso tweet dell’Associated Press che annunciava un attentato alla Casa Bianca e il ferimento del presidente Obama. In tre minuti lo S&P 500 è sceso di 145 punti e la Borsa di New York ha perso all’istante 136 miliardi di dollari. Poi l’allarme è rientrato e tutto è tornato alla normalità, ma l’attacco dei cracker siriani all’account Twitter dell’AP, tra scambi frenetici e algoritmi impazziti, ha messo in luce la fragilità e i limiti del cosiddetto trading ad alta frequenza, governato da software particolarmente complessi e non dagli uomini.
Tempestività e qualità della caduta degli indici di borsa attestano che molti ordini sono stati inviati in pochi secondi – nanosecondi, addirittura – dopo il falso tweet. Solo software progettati per monitorare istante per istante il flusso di news sono in grado di fare questo. Gli algoritmi non vogliono sapere se le informazioni siano corrette o meno e non imparano dai loro errori. I software sono programmati solo per digerire i dati e reagire rapidamente.
Abbiamo avuto una prova ulteriore dell’esistenza dell’Indice della paura. Si chiama Market Volatility Index, oppure VIX, o Fear Index, ed è adottato dalla Borsa di Chicago proprio per misurare la volatilità delle opzioni legate allo Standard and Poor’s 500. E’ una sorta di termometro che serve a monitorare la volatilità e la percezione del rischio finanziario sul mercato. Più gli investitori hanno paura e si fanno prendere dall’ansia e più tendono a vendere certe azioni e più matematicamente il VIX sale.
D’altronde la realtà spesso supera la fiction, perché quello che è accaduto ieri a New York con effetto a valanga nel resto del mondo finanziario, è stato raccontato un paio di anni fa da Robert Harris nel romanzo “L’indice della paura”, pubblicato in Italia da Mondadori. Un thriller godibile, tutto giocato tra speculazioni economiche e intelligenza artificiale, citazioni darwiniane, scambi frenetici e algoritmi impazziti, in un crescendo gotico-geek di tecnologia avanzata, fibra ottica, batterie di server, informatici prestati alla finanza, identità digitali rubate, computer impazziti. Suggestioni da apprendista stregone e Frankenstein, Goethe e Shelley.
Dal romanzo a quanto è accaduto ieri. Un falso tweet fa scattare l’input ai software che agiscono in piena autonomia e scatenano l’inferno finanziario prima che gli uomini riprendano in mano il comando. L’azione di hackeraggio, poi, è arrivata all’indomani degli attentati (quelli veri, purtroppo) di Boston, con gli operatori di borsa spaventati e disorientati.
Il flash crash di ieri dovrebbe indurre gli organismi che vigilano sull’attività delle borse a intervenire per regolare il trading ad alta frequenza e poi un falso tweet non può sconvolgere i mercati mondiali.
E poi, Twitter (e gli altri social network) non può più ignorare le falle di sicurezza. Le password, da sole, non sono più sufficienti.