In cerca di un Cloud al riparo dalle spie
13 Giugno 2013 Pubblicato da Pino Bruno
Qualche giorno fa un lettore di Tom’s Hardware ha commentato così l’articolo Datagate: se il Cloud è yankee siamo tutti in brache di tela: “Intanto il mio Amministratore Delegato ha sospeso la migrazione alla posta cloud che era in corso da 2 mesi (in fase di decisione se Google for business o Exchange Online). Quindi qualcosa queste dichiarazioni hanno fatto”. Preoccupazione comprensibile, quella dell’AD del lettore. Se si depositano dati e informazioni (privati o aziendali) sui servizi Cloud di aziende statunitensi, l’intelligence USA può frugarci dentro senza particolari problemi con il pretesto del Patriot Act. PRISM docet. E non è il solo, se persino l’ambasciatore americano presso la World Trade Organization Michael Punke, fa sapere la Reuters, teme che lo scandalo del Datagate possa avere pesanti ripercussioni sui negoziati commerciali per ridurre le barriere al flusso di dati elettronici transfrontalieri.
Il titolo della news è inequivocabile: “U.S. hopes NSA surveillance won’t derail data trade goals“, cioè “Gli USA sperano che la sorveglianza della NSA non ostacoli gli obiettivi commerciali”. E non è un problema di autarchie, di difesa dei Cloud services di aziende non statunitensi. Quale imprenditore, quale amministrazione pubblica o privata custodirebbe i propri segreti aziendali su un sistema di cloud server con una porta sempre aperta alle agenzie di sicurezza di Washington? Le scappatoie per curiosare, in nome della sicurezza, sarebbero tantissime.
Troppe, forse, se la Commissaria europea per la giustizia e i diritti fondamentali dei cittadini, Viviane Reding, batte il pugno per avere risposte concrete dall’Amministrazione statunitense:
“Le imprese europee fanno sapere che senza la certezza del diritto, le tecnologie che si basano sulla protezione dei dati come il Cloud Computing non saranno in grado di crescere in Europa. Le aziende che prendono in considerazione l’adozione di tecnologia Cloud dicono che la sicurezza e la difesa della privacy sono la loro più grande preoccupazione”
Già, ma forse va rivisto lo stesso concetto di privacy, oggi inadeguato, osserva oggi su La Repubblica il costituzionalista Stefano Rodotà:
“Bisogna ripetere che, di fronte a vicende come questa, la parola privacy è inadeguata o, meglio, deve essere sempre più intesa come un riferimento che dà fondamento concreto a questioni ineludibili di libertà e democrazia. L’erosione della privacy, la sua negazione come diritto e come regola sociale, non avviene soltanto all’insegna della sicurezza, ma anche di una pressione economica di tutte quelle imprese che vogliono considerare i dati personali come proprietà loro, come una tra le tante risorse liberamente disponibili. Espropriata dei suoi dati, la persona si fa merce tra le altre. Libertà e democrazia, dunque, rischiano d’essere schiacciate nella tenaglia di sicurezza e mercato”.
Insomma, il crollo di credibilità dell’amministrazione Usa, annota Marco Schiaffino sul Fatto Quotidiano, può avere ripercussioni politiche e diplomatiche, ma se travolgerà anche l’idea di “fair trade” a livello globale, può trasformarsi in un colpo fatale per la Rete come l’abbiamo conosciuta fino a oggi.
Da “1997: fuga da New York” a “2013: fuga dal Cloud made in USA” il passo potrebbe essere molto breve. E non si vedono molti Jena Plissken in giro.