Maker ripara il mondo. Puoi
4 Luglio 2013 Pubblicato da Pino Bruno
- 4 Luglio 2013
- APPROFONDIMENTI, ATTUALITA', RETI, SCENARI DIGITALI
- ecologia, economia, maker, obsolescenza programmata, stampante 3D
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C’erano una volta gli artigiani riparatori. Quelli che aggiustavano gli oggetti che si rompevano. Poi arrivò il tempo dell’usa e getta, incentivato dalla politica di obsolescenza programmata. Cioè, i produttori fanno in modo che l’oggetto duri un periodo prestabilito e sia più conveniente sostituirlo che ripararlo. Si fa in modo che i pezzi di ricambio siano introvabili o troppo costosi e che lo stesso intervento tecnico si riveli diseconomico. Al tempo della crisi, però, questo trend apparentemente ineluttabile potrebbe essere messo in discussione. Grazie anche al movimento dei maker e allo sviluppo della stampa 3D. Insieme maker e fixer potrebbero dare una scossa al mercato mettendo insieme risorse, strumenti e creatività.
Progetto ambizioso ma praticabile. Una sfida culturale, prima che tecnologica. Laboratori di costruttori di pezzi di ricambio da realizzare con stampanti 3D e squadre di riparatori di oggetti, da arruolare online in base a competenze e tempo da mettere a disposizione.
Certo, sarebbe necessario anche un intervento politico, con leggi che impongano di produrre oggetti con pezzi intercambiabili, e poi estensioni di garanzia e incentivi fiscali a chi progetta per la riparazione. Le aziende dovrebbero mettere online manuali e schemi di produzione di pezzi di ricambio da costruire con le stampanti 3D.
In Francia questi laboratori si stanno moltiplicando. Sono i Repair Café, animati da elettricisti, sarti, falegnami, riparatori di computer, giocattoli, elettrodomestici e biciclette. Ce ne sono già a Parigi, Cergy, Nizza, Saint-Egrève, Sophia Antipolis. Altri ne stanno nascendo in Belgio, nei Paesi Bassi, dove il movimento ha avuto origine nel 2009 per iniziativa dell’ecologista Martine Postma, in Canada, negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Brasile, Lettonia, Germania.
E in Italia? Ci sono Repair Café a Pisa e Vignola (Modena). A Bari, invece, per iniziativa del Comune, è stato avviato con successo il progetto Brand:Gnu, cioè vecchi computer altrimenti destinati al macero rivitalizzati con software open source e venduti ai cittadini a cinquanta euro.
L’idea di fondo è che non possiamo più permetterci l’obsolescenza programmata, per esigenze di sostenibilità economica e ambientale. Proprio in Francia, dove il tema è particolarmente avvertito dall’opinione pubblica, il governo sta pensando a interventi legislativi. L’ultimo rapporto dell’Agenzia per l’ambiente (agosto 2012) dice che gli acquisti di apparecchi elettronici sono aumentati di sei volte tra il 1990 e il 2007, mentre nello stesso periodo la spesa per le riparazioni è scesa del 40%. Il 44% degli oggetti elettronici finisce in discarica senza neanche un tentativo di riparazione.
Utopia? Il successo di esperienze come il crowdfunding e il crowdsourcing, ritenute fantasiose fino a qualche tempo fa, dovrebbe indurci a sperare che il movimento maker&fixer possa avere un futuro roseo.