Il cloud USA è nelle mani delle spie. Meglio una nuvola europea
10 Settembre 2013 Pubblicato da Pino Bruno
- 10 Settembre 2013
- ATTUALITA', RETI, SCENARI DIGITALI, SICUREZZA
- cloud computing, spionaggio, unione europea
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Scrive Evgenij Morozov sulla Frankefurter Allgemeine Zeitung che “per le spie americane I big data sono come il crack: bastano poche dosi per diventare dipendenti“. Il lungo articolo di Morozov, guru controcorrente del mondo digitale, è la storia di copertina del numero di Internazionale in edicola, con il titolo “Il mercato della privacy“. Breve ma corposo saggio, che offre l’opportunità di tornare a parlare di cloud computing statunitense ed europeo. Tutte le aziende americane che offrono servizi cloud nel resto del mondo – insegnano Snowden e il DataGate – hanno aperto le loro porte ai servizi di spionaggio USA. Affermazione inconfutabile, ahinoi. Dice Morozov che “molti europei si stanno finalmente rendendo conto, con assoluto sgomento, che il termine cloud è solo un eufemismo per ‘bunker buio nell’Idaho o nello Utah’” (luoghi dove hanno sede i giganteschi apparati della NSA. NdR).
Ormai sappiamo che tutto quello che passa attraverso le reti e i server delle multinazionali USA (anche tramite gli apparati dislocati all’estero) finisce al vaglio dei servizi di sicurezza americani. Lotta al terrorismo, si giustificano a Washington. Già, sottolinea però Evgenij Morozov: “Ma se due ragazzini maniaci dei social network riescono a far saltare in aria la maratona di Boston! Tutti questi dati, tutti questi sacrifici, per cosa?“. Condivisibile o meno, la tesi del sociologo fa riflettere. E indurre a pensare a un’alternativa seria al cloud made in USA.
E l’Europa che fa? Finora Bruxelles ha cincischiato. Ha mostrato i muscoli, dopo le rivelazioni di Snowden ma poi lo sdegno sembrava essere rifluito. Invece no.
(L’articolo prosegue su Tom’s Hardware).