Si è rotta la lavatrice? Era tutto previsto. Undici parlamentari contro l’obsolescenza programmata
25 Ottobre 2013 Pubblicato da Pino Bruno
- 25 Ottobre 2013
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Se la lavatrice (lavastoviglie, frigorifero, stampante, aspirapolvere, smartphone, tablet, eccetera) vi si rompe il giorno dopo la scadenza della garanzia o giù di lì, non è per caso. Molti oggetti sono concepiti per durare il tempo che aggrada al produttore. Si chiama Obsolescenza Programmata, tema imbarazzante, di cui è meglio non parlare. “Questa pratica, infatti, è una delle colonne portanti del nostro sistema economico fondato sul consumo continuo”, scrivono gli undici parlamentari di Sinistra Ecologia e Libertà, che hanno presentato una proposta di legge per contrastare l’Obsolescenza Programmata.
“L’obsolescenza programmata – scrivono Luigi Lacquaniti, Giulio Marcon, Aiello Ferdinando, Franco Bordo, Donatella Duranti, Florian Kronbichler, Gianni Melilla, Marisa Nicchi, Serena Pellegrino, Stefano Quaranta e Alessandro Zan – è la pratica industriale in forza della quale un prodotto tecnologico di qualsiasi natura è deliberatamente progettato dal produttore in modo da poter durare solo per un determinato periodo, al fine di imporne la sostituzione con un nuovo prodotto, più efficiente e funzionale, la cui carica innovativa viene pianificata in precedenza”.
La proposta di legge numero 1563 dei parlamentari di SEL si pone tre obiettivi: tutelare il consumatore; permettere una leale concorrenza sul mercato e attivare la creazione di nuovi posti di lavoro legati alla manutenzione degli elettrodomestici. Il provvedimento prevede di aumentare a 10 anni la responsabilità del produttore per il bene messo sul mercato e garantire la reperibilità/disponibilità di pezzi di ricambio.
C’è da augurarsi che la proposta dei deputati italiani abbia esito migliore di quella analoga dei Verdi francesi. Come ricorda Ecoblog, il progetto del senatore Jean-Vincent Placé, è stato discusso a lungo e poi annacquato dal governo.
La lettura dell’atto parlamentare è molto istruttiva. Si legge infatti che “volendo inquadrare il fenomeno dell’obsolescenza programmata sotto il profilo storico e normativo, anche facendo riferimento alle esperienze già maturate a livello europeo, si può ricordare che il 23 dicembre 1924 venne stipulato a Ginevra l’accordo Phoebus, il primo cartello mondiale avente come scopo il controllo della produzione e della vendita delle lampadine a incandescenza.
Tale accordo, che coinvolgeva le più importanti case produttrici di lampadine a incandescenza, prevedeva, tra l’altro, di ridurre la vita delle lampadine dalle oltre 2.500 ore (garantite prima dell’accordo) a sole 1.000 ore. I progettisti, quindi, dovettero mettersi al lavoro per ideare lampadine meno efficienti e meno durature. Phoebus, di fatto, è stato dunque l’atto di nascita dell’obsolescenza deliberatamente programmata per gli oggetti d’uso comune”.
Si legge anche che “nel 1933, nel pieno della crisi economica mondiale, l’immobiliarista americano Bernard London, nel suo primo capitolo del libro The New Prosperity, dal titolo: «Ending the Depression Through Planned Obsolescence » arrivò a teorizzare l’obsolescenza obbligatoria per ogni bene di consumo. Per uscire dalla recessione e rilanciare una nuova prosperità, London riteneva fondamentale imporre una domanda continua, volta ad alimentare la produzione e il profitto delle imprese.
Al riguardo London scriveva: «Secondo il mio progetto, i governi assegneranno un ”tempo di vita” alle scarpe, alle case, alle macchine, ad ogni prodotto dell’industria manifatturiera, mineraria e dell’agricoltura, nel momento in cui vengono realizzati. Questi beni saranno venduti e usati nei termini ”definiti” della loro esistenza, conosciuti anche dal consumatore. Dopo che questo periodo sarà trascorso, queste cose sarebbero legalmente ”morte” e […] distrutte nel caso ci sia una disoccupazione diffusa. Nuovi prodotti sarebbero costantemente immessi dalle fabbriche sui mercati, per prendere il posto di quelli obsoleti».
C’è poi un altro tipo di “obsolescenza pianificata” che è quella percepita, e teorizzata da Brooks Stevens negli anni ’50. In questo caso l’intento è fare propaganda per “creare un consumatore insoddisfatto del prodotto di cui ha goduto affinché lo venda di seconda mano e lo comperi più nuovo con una immagine più attuale”. Vale anche per l’innovazione, ma ovviamente è più difficile da contrastare per legge. Motivo cui di solito la lotta si concentra nei confronti di quella “programmata”.
Dario D’Elia su Tom’s Hardware ricorda uno studio recente commissionato dal gruppo parlamentare tedesco Verdi-Bündnis e realizzato da Stefan Schridde (esperto in gestione d’impresa) insieme con Christian Kreiss (docente di organizzazione aziendale all’università di Aalen). La ricerca sembrerebbe confermare che molti elettrodomestici e comuni dispositivi sarebbero “programmati per rompersi velocemente dopo lo scadere del periodo di garanzia”.
Si pensi ad esempio alle stampanti che si bloccano dopo un prestabilito numero di copie stampate, le lavatrici con le barre di riscaldamento realizzate con leghe o metalli che arrugginiscono facilmente, eccetera.
Ora, è evidente che se vi fosse sempre la possibilità di intervenire tramite riparazione i consumatori ne trarrebbero sicuramente beneficio. Contemporaneamente è anche vero, cosa non meno importante, che scenderebbero drasticamente anche i volumi di rifiuti elettronici. Questa piccola rivoluzione è figlia di una corrente di pensiero chiamata “Decrescita Felice“, che anche in Italia ha dato vita a un vero e proprio movimento.
La presentazione ufficiale con Luigi Lacquaniti e Simone Zuin di Decrescita Felice Social Network avverrà il prossimo 28 ottobre alle 13,30 presso la Sala Stampa della Camera dei Deputati.