Whistleblower italiani: la legge li protegge ma chi se li fila?
24 Giugno 2013 Pubblicato da Pino Bruno
- 24 Giugno 2013
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- censura, diritto all'informazione, pubblica amministrazione
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Più di centomila cittadini statunitensi hanno firmato, sul sito della Casa Bianca, la petizione per chiedere che Edward Snowden non venga perseguito. E’ un eroe nazionale, dicono i sottoscrittori. Per la democratica Nancy Pelosi, la talpa del caso Datagate è invece un traditore. Eppure negli Stati Uniti ci sono molte leggi federali e statali che proteggono i lavoratori dipendenti che denunciano comportamenti scorretti o si rifiutano di obbedire a direttive illegali. Ci sono il False Claims Act del 1863, il Lloyd–La Follette Act del 1912, il Whistleblower Protection Act del 1989.
Anche in Italia c’è una norma che dovrebbe proteggere i whistleblower: è la Legge 6 novembre 2012, n. 190 (Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione).
Lo prevede l’articolo 1, comma 51 (inserito come art. 54-bis del decreto legislativo n. 165/2001):
51. (Tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti). – 1. Fuori dei casi di responsabilità a titolo di calunnia o diffamazione, ovvero per lo stesso titolo ai sensi dell’articolo 2043 del codice civile, il pubblico dipendente che denuncia all’autorità giudiziaria o alla Corte dei conti, ovvero riferisce al proprio superiore gerarchico condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro, non può essere sanzionato, licenziato o sottoposto ad una misura discriminatoria, diretta o indiretta, avente effetti sulle condizioni di lavoro per motivi collegati direttamente o indirettamente alla denuncia”.
Diversi commentatori hanno criticato l’intervento del legislatore italiano, ritenendolo insufficiente. Basti pensare – dicono i giuristi dello studio legale Fioriglio-Croari, specializzato in diritto dell’informatica e delle nuove tecnologie – che a una questione tanto delicata quale quella dei whistleblower viene dedicato solo l’articolo di cui sopra, che comunque non la disciplina in modo adeguato e organico. In tal modo, del resto, la valutazione di eventuali casi viene rimessa sostanzialmente alla prudente valutazione dell’interprete (e del giudice del caso). Eppure, in simili ipotesi, sarebbe necessario, più che opportuno, definire casi e procedure specifiche e dettagliate in modo tale da dare maggiore certezza a chi vuole “esporsi” per denunciare un atto illecito. Con la normativa attuale, non sembra che siano presenti delle garanzie effettive, il che può dissuadere un eventuale denunciante (e non solo per l’assenza di meccanismi premiali o promozionali nei suoi confronti). Oltretutto, la norma è riferita esplicitamente solo ai dipendenti pubblici: e quelli privati?
Quanti sono i whistleblower italiani? Chi sono? La legge li tutela davvero? Si direbbe di no, a giudicare da ciò che è successo a Eugenia Addorisio. La sua vicenda è stata raccontata da Giuliano Marrucci nella puntata di Report, su Rai Tre, del 19 maggio scorso, prima che il termine whistleblower fosse sdoganato dal caso Snowden.
“Voleva solo fare quello per cui era pagata, l’ispettrice per la sicurezza sul lavoro della Asl di Foggia. Glielo hanno impedito, e allora Eugenia Addorisio ha denunciato tutti. Cinque anni dopo gli arresti, con il processo in corso, sono tutti di nuovo al loro posto, a parte lei, che è stata rimossa dall’incarico, e ora fa l’infermiera”.
Il reportage va visto dall’inizio alla fine. La trascrizione – come usa fare Report – è integrale. Una piccola storia, certamente, rispetto allo scandalo planetario del Datagate. Qui – a parte Report – nessuno si indigna o scrive petizioni.
Eroi normali, che non fanno notizia. Eppure al cinema ci piacciono tanto, come Jack Godell/Jack Lemmon nel film La sindrome cinese. Al cinema, appunto.