Ancora su Google News che toglierebbe ossigeno ai giornali tradizionali. Intervento di Carlo De Benedetti
9 Dicembre 2009 Pubblicato da Pino Bruno
Google e l’editoria tradizionale. Chi fa business e chi no. Google News porta acqua al mulino dei giornali oppure la toglie? La porta, secondo questo blog, ma – si sa – Murdoch e la Federazione italiana editori di giornali la pensano diversamente. La contrapposizione è globale e locale. Gli editori cercano consenso tra gli utenti ma non ne trovano. Oggi scende in campo il patron del gruppo Repubblica – L’Espresso, Carlo De Benedetti, con una lettera al Sole 24 Ore. La posizione di De Benedetti sembra meno rozza di quella di Murdoch e alcune affermazioni sul ruolo di Google sono condivisibili.
Come questa: “Google è la porta principale d’ingresso alla rete e la più efficiente macchina da soldi mai costruita. Ha due asset formidabili: una capacità tecnologica che non ha paragoni (un milione di server) e un disprezzo assoluto per le norme locali su privacy e i diritti di proprietà intellettuale. Agisce ovunque come se la legge da rispettare fosse quella della California e nessun’altra. Solletica l’utente finale perché lo vuole al suo fianco nel trasferimento del valore da chi produce a chi fa da intermediario. E Google non produce contenuti ma intermedia tutto”.
Il resto sono cose già dette e scritte. Resta l’interrogativo di fondo. Perché i giornali tradizionali hanno poco appeal? Non sarà perché spesso sembrano (eccezioni a parte) fotocopie l’uno dell’altro? Non sarà perché ormai (eccezioni a parte) i giornalisti passano più tempo al desk che per strada? Non sarà perché (eccezioni a parte) lo spazio dedicato alle inchieste vere si riduce sempre di più in favore del gossip e del light? Non sarà perché (eccezioni a parte) i giornali non raccontano i problemi reali dei cittadini?
Si, Google non fa quello che fa per filantropia, ma la colpa non è soltanto di Google. Editori e giornalisti hanno le loro responsabilità.
Cito qualche passaggio di un recente intervento del presidente nazionale dell’Ordine dei giornalisti, Lorenzo Del Boca: “…Sembra che la politica abbia copiato dal mondo dello star-system e che, insieme, vadano a braccetto. Presidenti del consiglio, attori e rock star, ministri e governatori propongono un’inestricabile commistione fra la vita pubblica e quella privata. Sono loro stessi a chiamare la stampa per ritrarli, mentre addentano la pastasciutta, portano a battesimo un marmocchio, si divertono a guardare le vetrine, prendono il sole in qualche atollo sperduto nel Pacifico: salvo poi indignarsi e ricorrere alla privacy non appena qualche dettaglio di quei fatti che hanno messo in piazza non risulta gradito”.
Del Boca aggiunge: “La libertà di stampa è anche libertà dal bisogno. Com’è possibile rimanere indipendenti – se non proprio neutrali – mantenere serenità di giudizio e assicurare obiettività nelle valutazioni che si propongono se il lavoro dei più fortunati vieni compensato con 800 euro mensili mentre quello dei meno protetti viene valutato pochi euro (lordi) al pezzo. Almeno un pezzo di libertà riposa nella busta paga. Troppo precariato, troppi compensi in nero e troppo poche certezze di impiego “sicuro” a tempo indeterminato mettono a rischio l’equilibrio professionale dei colleghi”.
Ancora Del Boca: “Ovviamente, anche i giornalisti devono saper far buon uso della libertà che è messa a loro disposizione. È indispensabile la competenza. Chi sa è capace di proporre valutazioni anche definitive perché è in grado di sostenere le sue ragioni e di difenderle. Chi non sa o non è certo finisce per accettare il suggerimento di chi gli consiglia di addolcire qua e là o di eliminare del tutto questo o quello. La libertà sta anche nello studio, nella preparazione, nell’approfondimento sui libri e nella disponibilità delle tematiche di cui ci si occupa”.
Conclude Del Boca: “Le persone cui quotidianamente ci rivolgiamo sono lettori e non elettori. Dobbiamo colloquiare con loro: hanno il diritto di conoscere cosa capita nel mondo ma non ingannati, turbati, eccitati da input informativi assillanti e deformanti che la quantità e qualità dei messaggi rendono possibile.
Niente affatto facile. Possiamo esibire centinaia di pagine che, ogni giorno, danno conto della fatica, dei sacrifici e, qualche volta, della paura dei colleghi. Non di rado siamo costretti a parlare di noi e raccontare di chi è morto, di chi è minacciato, di chi vive sotto scorta come un clandestino per aver tentato di raccogliere qualche particolare in più, da aggiungere all’articolo destinato alla tipografia.
Ma non mi nascondo, dall’altra parte, le pigrizie e persino qualche vigliaccheria che macchiano il nostro lavoro quotidiano: la superficialità a volte irritante, le imperfezioni anche lessicali, i congiuntivi che non sono sempre al posto giusto, gli errori qualche volta grossolani e una neghittosità poco professionale”.
Fin qui un autorevole esponente della categoria del giornalisti. Avete mai letto autocritiche analoghe da parte di un editore?
E’ facile trovare la pagliuzza negli occhi di Google News. Più difficile accorgersi della trave nei propri.
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