Google e la sentenza di Milano: è in gioco la libertà della rete?
24 Febbraio 2010 Pubblicato da Pino Bruno
- 24 Febbraio 2010
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- abuso, censura, cittadinanza digitale, google, internet, privacy, youtube
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“La tutela della persona umana che deve prevalere sulla logica di impresa”, commentano soddisfatti il procuratore aggiunto di Milano, Alfredo Robledo, e il pubblico ministero Francesco Cajani. Il giudice Oscar Magi ha condannato a sei mesi di reclusione, per violazione della privacy, tre dirigenti di Google. Erano accusati di diffamazione e violazione della privacy, per non aver impedito la messa in rete su YouTube di un video che mostrava un ragazzino down picchiato e insultato da alcuni studenti. E’ venuta meno l’accusa di diffamazione.
Giustizia è fatta, dunque? Il portavoce di Google Italia, Marco Pancini, dice che la sentenza e’ “un attacco ai principi fondamentali di libertà sui quali e’ stato costruito internet“. I tre dirigenti “non hanno avuto nulla a che fare con il video in questione, poiché non lo hanno girato, non lo hanno caricato, non lo hanno visionato“. Secondo Pancini, i tre dirigenti sono stati dichiarati “penalmente responsabili per attività illecite commesse da terzi“.
Durante il processo, i legali di Google hanno sempre sostenuto che la responsabilità “è di chi carica il video in rete. Se questo principio viene meno, cade la possibilità di offrire servizi su internet. La normativa vigente e’ stata definita appositamente per mettere gli internet service provider al riparo dalla responsabilità a condizione che rimuovano i contenuti illeciti non appena informati della loro esistenza. Se questi principi vengono meno, tutti i siti che usiamo oggi, qualora venissero ritenuti responsabili dei controlli dei video caricati sulle loro piattaforme questo vorrebbe dire la fine del web come lo conosciamo oggi“.
Più sfumata la posizione di uno degli avvocati di Google, Giuliano Pisapia. “Noi faremo appello – dice – ma l’assoluzione decisa dal giudice in riferimento alla diffamazione ci soddisfa ed e’ secondo noi solo il primo passo. Avessero avuto ragione i pm su tutta la linea ci saremmo trovati di fronte a una sorta di obbligo di censura preventiva verso qualsiasi contenuto da mettere in rete. I dirigenti di Google – conclude Pisapia – hanno fatto il possibile rimuovendo il video appena informati della sua esistenza sul web. Non si può fare l’impossibile. E’ giusto riflettere perché fatti del genere non abbiano più a ripetersi, dal momento che parliamo di un tema molto sensibile e che deve stare a cuore a tutti”.
Di parere opposto, ovviamente, la pubblica accusa: questo, secondo Robledo e Cajani, “non e’ stato un processo sulla libertà della rete come alcuni hanno detto. Si e’ posto invece per la prima volta in Italia un problema serio sui diritti della persona nella società di oggi“.
La sentenza di primo grado di Milano sancisce che “la tutela della persona umana che deve prevalere sulla logica di impresa”. E’ vero, i filmati su YouTube, i gruppi demenziali e criminali su Facebook, le immagini irriguardose, hanno il limite dell’automatismo. Non c’è controllo preventivo da parte di esseri umani e dunque, quando vanno in rete, la frittata è fatta.
Dalla “messa in onda” all’eventuale cancellazione passa troppo tempo (due mesi, nel caso del ragazzo down preso in esame nel processo contro Google). I correttivi sembrano inevitabili, per tutelare dagli abusi soggetti deboli e cittadini. A patto però che – come si tenta di fare in Italia – il rimedio non sia un pretesto per imbavagliare la rete. Insomma, il rischio è quello di gettare il bambino con l’acqua sporca. Occorre ragionare affinchè ci sia equilibrio tra la tutela della persona umana, la logica d’impresa e le libertà in rete.