E’ nato l’hacker di Stato?
23 Gennaio 2009 Pubblicato da Pino Bruno
- 23 Gennaio 2009
- GIORNALISMI, SCENARI DIGITALI, SICUREZZA
- diritto all'informazione, pirateria informatica
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Ricevo e pubblico volentieri questo intervento di Pino Nicotri, che ho letto nella newsletter di Senza Bavaglio.
Il 7 gennaio scorso sul sito www.zeusnews.com, che si autodefinisce “un notiziario dedicato a quanto avviene nel mondo di Internet, dell’informatica, delle nuove tecnologie e della telefonia fissa e mobile” è comparsa una notizia che dovrebbe preoccupare tutti i cittadini europei, ma in particolare i giornalisti e chiunque usi il computer non solo per diletto ma anche per lavoro. La notizia è la seguente: “Il Consiglio dei Ministri Europeo ha dato l’assenso e subito Inghilterra e Germania si sono mosse per adeguarsi con gioia al nuovo corso: nell’Unione Europea è ora possibile l’hacking di Stato. L’Unione Europea ha autorizzato le forze di polizia a compiere perquisizioni a distanza sui Pc dei cittadini”.
Come sarebbe a dire? Sarebbe a dire, prosegue l’articolo del sito Zeus News, che “Le forze di polizia degli Stati membri non hanno più bisogno di un mandato e di essere in possesso di prove per perquisire da remoto i computer dei cittadini: ora hanno ufficialmente il permesso di avviare una “sorveglianza intrusiva della proprietà privata” in maniera del tutto autonoma e anonima”. Secondo www.ldenews.info, “Finora un computer personale era considerato alla stregua di un appartamento: la polizia poteva entrarvi solo con un mandato della magistratura (o in taluni casi eccezionali, ma molto molto limitati e comunque disciplinati dagli ordinamenti giuridici dei singoli Stati); con le nuove norme europee invece hanno ufficialmente il permesso di avviare una “sorveglianza intrusiva della proprietà privata” in maniera del tutto autonoma e anonima.In pratica, potranno penetrare nel vostro computer a vostra insaputa”.
Gia’. Ma come e’ possibile? Lo spiega sempre www.ldenews.info : “Normalmente, se l’amministratore del computer non autorizza una condivisione da remoto, l’accesso alla macchina è precluso – quanto meno – da una password: l’unico modo per prendere il controllo di un computer da remoto all’insaputa dell’amministratore ed aggirando le protezioni preposte è quello di infettare il computer stesso con un virus di tipo trojan”. .
La cosa strana è che la notizia è passata pressocché sotto silenzio, senza cioè suscitare non dico ondate di sdegno, ma neppure un blando comunicato di protesta del mondo giornalistico, almeno delle “grandi firme”, delle organizzazioni sindacali dei giornalisti e, in Italia, anche dell’Ordine professionale. A nostro avviso dovrebbe ro protestare anche gli editori, perché non è una bella notizia sapere che i propri giornalisti e i propri giornali possono essere controllati a distanza, senza autorizzazione di sorta e quindi senza garanzie e con immancabili arbitrii.
Oltretutto: chi garantisce che lo spione di Stato non rovisti nei nostri computer per fregarsi numeri e codici di conti correnti, depositi bancari vari, scambi epistolari con amanti o fidanzate/i, mogli e mariti propri o altrui? E chi garantisce che non si freghi magari il manoscritto di un libro non ancora pubblicato o la trama di un film, di uno sceneggiato o di un qualunque format televisivo non ancora depositato presso la Siae?
Chiediamo che la Fnsi e l’Ordine si diano da fare per vederci chiaro e, se la notizia non è pompata, per farsi anche sentire. Intanto vari gruppi in difesa dei diritti umani, stanno insorgendo. Shami Chakrabarti, avvocato tosto e gentildonna di 39 anni, figlia di indiani emigrati nel Regno Unito negli anni Cinquanta e direttrice di Liberty, l’organizzazione che difende con grinta e passione i diritti umani, denuncia senza mezzi termini che l’introdursi di nascosto in un computer privato “non è diverso dall’irrompere a casa di qualcuno, analizzare i suoi documenti e sequestrare l’hard disk”. Solo che in questo modo lo spiato, che non si può neppure definire sospettato, non ne ha il benché minimo sentore.
Il sito di Zeus News prosegue: “Ovviamente, intromettersi nel computer di qualcuno è un’attività che richiede la compromissione del sistema che opera su quel determinato Pc: assisteremo forse all’invio di mail che contengono virus da parte delle forza dell’ordine? E i produttori di antivirus e per la sicurezza come si porranno in questa situazione? Nonostante il Ministero dell’Interno inglese si sia subito attivato per sminuire la portata di questo provvedimento, ma senza negare le conseguenze paventate, non solo la privacy dei cittadini viene messa a rischio (qualcuno potrebbe anche dire “Ma tanto io non ho nulla da nascondere”), ma la sicurezza stessa dei loro computer. Senza contare, poi, le sempre presenti possibilità di abuso di un potere esercitabile senza bisogno dell’autorizzazione di alcuno”.
E in Italia le cronache dimostrano fin troppo di frequente che gli abusi da parte di chi dovrebbe invece garantire la legalità e vigilare su di essa purtroppo non mancano. Anzi, abbondano.
Pino Nicotri
Senza Bavaglio
Consigliere generale Inpgi