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Il Social Killer è in rete: ecco il primo dei 108 paragrafi

Il Social Killer  è in rete. Agisce su iPhone, con un’applicazione ad hoc, su smartphone e cellulari, su Facebook. Il romanzo ceilleuton (feuilleton per dispositivi mobili) di Vito Di Bari si propone di tenere i lettori con il fiato sospeso per 108 giorni… Ecco in anteprima il primo paragrafo.

Social Killer  viene pubblicato un paragrafo al giorno per 108 giorni ed è gratuito (salvo i normali costi di connessione). I lettori che dispongono di un numero Vodafone potranno riceverlo direttamente sul loro cellulare inviando un SMS al 4887700 con la parola KILLER: così facendo otterranno gratuitamente tre link a settimana da cui scaricare i capitoli di Social Killer (ovviamente, se si dispone della tariffa flat, non si paga nulla). In alternativa i possessori di iPhone o iPod Touch potranno scaricare gratuitamente l’applicazione Social Killer e i capitoli da iTunes Store nella sezione libri.

Vito Di Bari è docente di Progettazione, Gestione e Innovazione dei Sistemi alla Facoltà di Ingegneria dei Sistemi del Politecnico di Milano e all’Università Bocconi. Ha pubblicano numerosi saggi e questo è il suo primo romanzo. Digitale.

Il blog dedicato a Social Killer è qui.

 

 

 

SOCIAL KILLER

Un romanzo di Vito Di Bari

 

1. Una piccola torcia

 

Se ora entrasse nella cameretta per controllare, nel letto del figlio la signora Lina vedrebbe solo una collinetta. È la sagoma di un bimbo che dorme rannicchiato sotto le coperte.

 

Ma non è il figlio, e non dorme.

 

Suo figlio è cresciuto e vive lontano, sotto quelle coperte ora c’è un altro bimbo che tiene in mano una piccola torcia e legge un libro. Fa finta di dormire e legge per ore, ha otto anni ed è il figlio della vicina, Fernanda, che abita al piano di sotto e lavora di notte.

 

 

“Me lo terrebbe lei, signora Lina?” le aveva chiesto tre anni prima, dando la mano a quel ragazzino con l’aria da monello e il sorriso di un angelo. “Glielo porto alle nove e vengo a prendermelo verso le due, quando smetto di lavorare.”

 

“Tutte le sere?” aveva risposto la signora Lina per prendere tempo, ma aveva già deciso.

 

“Sì, tranne i lunedì quando riposo. Le darei qualcosa, naturalmente. Per il disturbo …”

 

Il bambino disturbo non gliene dava. La signora Lina si sentiva molto sola in quella casa rimasta prima orfana del marito e poi abbandonata dai figli. Le disse di accomodarsi, si misero d’accordo.

 

Passarono gli anni, tutte le notti Fernanda veniva a riprendersi il figlio addormentato e lo portava in braccio al piano di sotto perché si svegliasse nel suo letto dopo essersi addormentato in un altro. Lui si addormentava sempre tardi, non aveva mai voglia di dormire. Gli piaceva leggere storie fantastiche nei libri che gli comprava la mamma. Immaginava di essere un cavaliere antico, un esploratore, un pirata, uno sceriffo. Dormendo, gli sembrava di buttare via il tempo. Ma la signora Lina era inflessibile.

 

“Alle nove e mezza si spegne la luce e si dorme”  aveva detto.

 

“Posso avere quella piccola torcia, mamma?” aveva chiesto il figlio alla madre, al supermercato.

 

Lei aveva detto di sì e così era iniziata quell’avventura segreta sotto le coperte. Al riparo dei rimproveri della signora Lina, leggeva per ore tutte le notti.

 

 

“Che guaio!” pensa il bambino, chiudendo il libro “sono stato uno stupido!”

 

Il libro è finito in un attimo, lui non ha ancora sonno ma non ha più niente da leggere. Pensa ai libri che non ha ancora letto e che sono tutti al piano di sotto, a casa sua. Si dà dello scemo per non averne preso un altro. Spegne la torcia, mette il libro che ha terminato nello zainetto a fianco del letto, si aggiusta la coperta. Dalla stanza accanto arrivano i suoni della televisione. Guarda l’orologio, le dieci e venti.

 

“Starà già dormendo sulla poltrona”  si dice, pensando alla signora Lina che quella sera non è neanche passata a controllare. Si gira su un fianco e cerca di dormire anche lui. Alle undici è ancora sveglio. Ha già cambiato posizione e guardato l’orologio mille volte, ma non c’è verso di addormentarsi. Si alza dal letto, infila le pantofole ed esce dalla stanza. Cerca di non fare rumore, attraversa il corridoio, arriva davanti all’unica stanza con la luce accesa, infila dentro la testa.

 

“Dorme!”

 

Va nell’ingresso, prende la copia delle chiavi di casa sua dal chiodo dove le tiene la signora Lina, apre la porta d’ingresso e mette una sedia in mezzo perché non si richiuda. Scende al piano di sotto, apre la porta, entra in casa. Accende la luce dell’ingresso, si incammina per il corridoio.

 

 

È quasi arrivato alla porta della sua cameretta quando sente qualcosa, si blocca. Tende l’orecchio, è come un grido soffocato. Ha paura, vorrebbe scappare, ma resta lì e ascolta. Sente la voce di un uomo, il rumore di uno schiaffo.

 

Guarda la stanza della mamma, la porta è chiusa.

 

“C’è qualcuno, e sta facendo del male alla mamma…” Non sa cosa fare, si guarda intorno. Vede la porta d’ingresso e pensa di tornare su ad avvisare la signora Lina. Ma poi cambia idea, corre in cucina, sale sul ripiano e prende un lungo coltello affilato dalla mensola in alto. Attraversa il corridoio, è davanti alla camera della mamma, abbassa la maniglia, apre piano la porta. Di fianco c’è un grande armadio a muro, l’anta è aperta, scivola dentro e si nasconde fra i vestiti.

 

“Lo ammazzo, lo devo ammazzare … ” si dice per farsi forza, ma ha paura.

 

Si appoggia al fondo dell’armadio e scosta i vestiti per guardare. Non vede la mamma, è sul letto e quell’uomo la nasconde ai suoi occhi. Lui è nudo, di spalle.

 

Ha paura, ma non riesce a smettere di guardare. Cerca di capire come saltargli addosso e pugnalarlo, si sente minuscolo dinanzi alle enormi spalle di quell’uomo che sta facendo male alla mamma. Lui però ha in mano un coltello, lo stringe e si sente più forte. L’uomo grida e si solleva. Ora può scorgere il viso della mamma. Vede che lei sorride a quell’uomo.

 

“Vieni qui …” gli dice.

 

Il bimbo non capisce, gli manca il respiro. Resta immobile nell’armadio, con gli occhi sbarrati e il coltello in mano. Quel coltello non gli dà più forza, è un corpo estraneo, ha dimenticato di averlo. L’uomo si alza e si riveste, la mamma mette una vestaglia che il figlio non le ha mai visto prima. L’uomo prende il portafoglio, lo apre, le mette dei soldi in mano, esce dalla stanza.

 

Il bambino si rannicchia sul fondo dell’armadio mentre gli passano davanti, si copre con i vestiti. Stringe ancora il coltello, con il braccio abbandonato sul fianco, ma non gli serve più.

 

Ha capito.

 

 

Sente la porta d’ingresso che si chiude, i passi della mamma che torna.

 

Tutto gli sembra irreale, un brutto sogno, la vita di un altro. Lei entra nella stanza, butta la vestaglia sul letto, va in bagno. Il figlio vuole scappare, sa che adesso è il momento giusto per farlo, ma è bloccato. È come se non avesse la forza per fare un solo gesto. Resta fermo. La mamma esce dal bagno e si avvicina all’armadio. Lui non la vede arrivare, si è nascosto fra i vestiti. Lei inizia a cercare qualcosa da mettersi, fa scorrere gli appendini.

 

Poi lo vede e si blocca.

 

Hanno tutti e due gli occhi sbarrati, si guardano, il tempo si è arrestato.

 

“Cosa ci fai qui?” urla, afferrandolo per le spalle e tirandolo fuori dall’armadio. Il bimbo è immobile, ha le braccia appoggiate sui fianchi e non reagisce.

 

“Da quanto sei qui? Dimmelo! Dimmelo!” continua a gridare. Lui la sente come se la sua voce venisse da un mondo lontano, la guarda e resta immobile. Lui non è più lì.

 

“Sei cattivo, cattivo, cattivo!” La madre ha una crisi isterica e inizia a schiaffeggiarlo sulle guance. Lui resta immobile. Uno schiaffo, due, tre. Sempre più forte. Lui non si scuote, lei continua. Il figlio sente un dolore acuto, l’anello della mamma gli ha ferito la guancia quando l’ha schiaffeggiato con il dorso della mano. Lei non se ne accorge, è fuori di sé.

 

“Sei cattivo, cattivo, cattivo!” ripete allungandogli un altro schiaffo, con il palmo.

 

Il bambino vede avvicinarsi il dorso della mano, sa che lì c’è l’anello e che lo ferirà ancora. La sua  destra si solleva di scatto, è una reazione d’istinto, vuole proteggersi il viso, ma al viso la mano non arriva. Il coltello colpisce la madre all’altezza dello sterno e poi affonda nel suo petto.

 

Lui non capisce, si era dimenticato di averlo ancora in mano.

 

La mamma si porta le mani al petto e lo guarda sconvolta, non riesce a credere che lui l’abbia accoltellata. Lo sguardo del bambino è assente, catatonico. Lui non è lì.

 

La mamma gli guarda la mano che impugna il coltello insanguinato e capisce che non l’ha fatto apposta. Sente che le forze le stanno mancando, capisce che sta per morire. Si mette in ginocchio e guarda con dolcezza il suo bambino.

 

“Ti va di parlare?” gli chiede, mentre sente la vita che le scivola via.

 

Il figlio abbassa impercettibilmente la testa, due volte.

 

Lei comincia a parlare, gli racconta la verità sull’abbandono del padre e sul lavoro che ha perso. Gli dice quanto si sentiva sola. Gli parla della paura di non riuscire a sfamarsi e di non avere più una casa in cui abitare. Gli spiega tutto quello che non ha mai avuto il coraggio di dirgli.

 

Poi muore.

 

Il bambino chiude la porta di casa e torna al piano di sopra, come un automa. Lui non è lì.

 

Toglie la sedia, chiude la porta, riappende le chiavi al chiodo. Va in bagno, lava il coltello e le mani dal sangue. Lui non è lì.

 

Torna nella sua stanza, si siede sul letto. Ha ancora in mano il coltello, lo guarda. Apre la sinistra e si fa un piccolo taglio sul palmo, sembra un serpente ma è una esse. Significa “solo”  quello che lui sarà da quel giorno in poi.

 

Torna in bagno, si tampona il taglio con la carta igienica finché non smette di sanguinare. Poi lava di nuovo il coltello e le mani.

 

Si infila nel letto, mette il coltello dentro lo zainetto, rimbocca le coperte e si addormenta.

Dimentica tutto, passano gli anni.

Lui ora è qui.

E non è più un bambino.

(continua…)

Pino Bruno

Scrivo per passione e per dovere, sono direttore di Tom's Hardware Italy, ho fatto il giornalista all'Ansa e alla Rai e scrivo di digital life per Mondadori Informatica e Sperling&Kupfer

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