Sembravano destinate all’oblio, le vecchie catene di Sant’Antonio che viaggiavano per lettera affrancata e tentavano di strapparti la lacrimuccia con gli strampalati racconti di disgrazie d’ogni tipo, per poi chiederti soldi. E invece no, i truffatori vivono e lottano insieme a noi, usano la posta elettronica, millantano relazioni VIP, cercano di coinvolgerci in faide familiari.
Una mia amica ha trovato sulla sua bacheca Facebook la foto di una donnina nuda, postata da un conoscente. Si è giustamente indignata. L’altro ha risposto imbarazzato: non è colpa mia. Siamo entrambi vittime di uno spammer. È vero. Sotto quella foto si nasconde codice maligno. Non cliccate e avvertite i vostri contatti. In questo
Gira e rigira, la bufala scompare e riappare a distanza di tempo, come le bottiglie che contengono messaggi da affidare alle maree. Da qualche giorno l’onda lunga delle cavolate ha fatto spiaggiare un evergreen della disinformacja su Facebook. Il messaggio millanta un abbonamento gold, cioè si dovrebbe pagare per salvaguardare la privacy. Eppure basta fare
Ultimo bollettino delle bufale in rete. Ce ne sono due che dilagano come valanghe sui social network. La prima riguarda FaceBook. E’ la solita cavolata sull’imminente servizio a pagamento. La seconda, invece, parla di WhatsApp, la popolarissima applicazione di instant messaging (a proposito, Indoona è decisamente migliore e in più è un prodotto italiano). Catene