Qualcuno sosteneva che il mestiere di spia sarebbe morto con la fine della Guerra Fredda. Niente di più sbagliato. Piuttosto è cambiato il modo di spiare e sono variati gli obiettivi. Adesso tutti spiano tutti, in un vortice che ingoia regole, etica, deontologia.
C’è giornalismo e sciacallaggio. L’intervista al figlio dell’attentatore di Palazzo Chigi è uno dei tanti episodi in cui il sonno di ogni ragione deontologica genera mostri di cui è bene vergognarsi. Va bene indignarsi sui social network, ma si può fare di più. Come difendersi? Ogni cittadino ha il diritto/dovere di segnalare le violazioni deontologiche dei
Tre giuristi dettano le “Regole dei giornalisti”. Sembra un instant book, e invece il saggio di Caterina Malavenda, Carlo Melzi d’Eril e Giulio Enea Vigevani, pubblicato a ottobre 2012 dal Mulino, ha anticipato di qualche mese il bollente dibattito sullo stato dell’arte dell’informazione in Italia. E’ una risposta ragionata a chi sostiene che i giornalisti
Pier Luca Santoro, sul Giornalaio, lancia il progetto di elaborazione di un codice di autodisciplina di chi diffonde informazioni sulla Rete, “prima di restare schiacciati non solo sotto il peso dell’ infobesità ma anche di quello delle bufale”. La vicenda della presunta morte di Paolo Villaggio e una inchiesta del Guardian. Sabato la Rete è
In rete ci sono buoni e cattivi aggregatori di news, che rispettano o meno le fonti originali. Scrive il direttore del Knight centre for digital media entrepreneurship dell’Università dell’Arizona, Dan Gillmor che i cattivi aggregatori fanno un danno al buon giornalismo. L’intervento è stato pubblicato dal Guardian e poi tradotto e ripreso nell’ultimo numero di
Il Codice Deontologico, al quale ogni giornalista italiano deve (dovrebbe) attenersi, non vale oltre i confini nazionali. Scrupolosi in patria (pena pesanti sanzioni da parte dell’Ordine dei giornalisti e del Garante per la Privacy), i cronisti italiani mollano la briglia all’estero. L’ultimo esempio è il caso Dominique Strauss-Khan.